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Intervista a Luigi Snozzi

Luigi Snozzi, nasce a Mendrisio il 29 luglio del 1932. Si laurea alla scuola Politecnica Federale di Zurigo nel 1957 e, dopo le prime esperienze professionali negli studi di Peppo Brivio e Rino Tami, nel 1958 fonda uno studio di architettura a Locarno Durante il decennio tra gli anni sessanta e gli anni settanta lavora insieme a Livio Vacchini. Dal 1985 al 1997 svolge l’attività di professore ordinario presso il Politecnico Federale di Losanna. Attualmente insegna presso la Facoltà di Architettura di Alghero dell’ Università di Sassari e presso l’ Accademia di Architettura di Mendrisio. Vincitore dei premi Beton, Wakker e Prince of Wales, attribuitogli dall’Università di Harvard, la figura di Luigi Snozzi rappresenta un punto di riferimento nel panorama dell’architettura contemporanea ticinese e internazionale.

 

Cagliari 19/05/2009

 

Marco Piras

Da qualche tempo a questa parte, l’architetto Franco Purini, sostiene che un progettista debba, per definire il suo operare, individuare un tema da perseguire nella progettazione. Come si rapporta lei nei confronti di questa affermazione? Esiste un tema che definisce il suo modus operandi?

 

Luigi Snozzi

È difficile a dirsi, io non credo che ci sia un tema. Il mio tema fondamentale è il rapporto con la natura. Tutto parte da li. Dopo, qualsiasi tema diventa interessante, non ho temi preferiti. Il tema è sempre quello, da quando è nata l’architettura nel mondo non è mai cambiato niente, l’architettura non si evolve. L’architettura è architettura ed è sempre stato così. Quindi credo che i temi siano ricorrenti e continui.

 

M.P.

Le infrastrutture viarie come strade e ferrovie definiscono i limiti urbani. Secondo lei, l’infrastruttura può essere l’elemento fondante dell’architettura?

 

L.S.

È evidente che le infrastrutture siano sempre state, nella costruzione della città, uno degli elementi fondamentali di ogni piano regolatore. Dall’antichità sono sempre state le strade che hanno dato l’ordine iniziale di una città. Quindi si! Le infrastrutture contano molto. Vorrei aggiungere  però ,che oggi,  molte di queste infrastrutture non  definiscono  i limiti urbani, questo vale soprattutto per ferrovie e autostrade.

 

M.P.

Secondo lei attualmente si può identificare una scuola di progettazione Svizzera? Mi spiego meglio, esiste una Architettura Svizzera? Come questa architettura si rapporta con l’architettura internazionale come quella prodotta dalle cosiddette Archistar?

 

L.S.

Io penso che sia difficile definire un’ architettura Svizzera, non ci credo . Ci sono bravi architetti in Svizzera, ma come ci sono anche altrove, e questi sono anche molto diversi tra loro. Ci possono essere eventualmente delle affinità tra i vari architetti che vengono dal Canton Grigioni rispetto a quelli che vengono da Zurigo o rispetto a quelli che vengono da Basilea o quelli che vengono dal Ticino. Una linea costante però non c’è. C’è sicuramente un maggior impegno rispetto a quello che ho trovato qui in Italia.

 

M.P.

Come definisce il paesaggio e come si rapporta con questo nel suo progettare?

 

L.S.

Il paesaggio è la natura trasformata dall’uomo. Questa è la mia definizione di paesaggio. Penso che la natura come tale non costituisca un paesaggio. Per l’uomo la natura come tale è un supporto necessario per apportarvi le sue modifiche.

 

M.P.

In queste modifiche e nella progettazione, che ruolo ha per lei la scelta dei materiali?

 

L.S.

Sicuramente la scelta dei materiali è in certi casi fondamentale e prioritaria, in altri casi forse un po’ meno, però la scelta dei materiali ha sempre un ruolo forte.

 

M.P.

Che rapporto ha secondo lei l’architettura contemporanea con la storia dell’architettura, o meglio con l’architettura storica?

 

L.S.

L’architettura contemporanea fa parte della storia dell’architettura, ne fa parte integrante ed è una continuazione di quello che è sempre stata la storia dell’architettura. Come ho già detto prima l’architettura infondo non è mai cambiata. Dal duemila avanti cristo, dal Pantheon al Partenone, da li a oggi, l’architettura non è cambiata di una virgola. Anzi architetture come il Partenone sono tutte architetture moderne, attuali. Per me la storia in questo senso non esiste . A titolo d’esempio il Partenone è attuale come l’opera di Louis Kahn, di Corbusier o di Gehry. Non ha età. Diciamo che è simile all’arte..

 

M.P.

Dovendo indagare invece sulla storia di una architettura in particolare, assunto che l’oggetto architettonico abbia una vita e prima o poi deve morire, secondo lei come deve invecchiare un opera in rapporto alle funzioni morfogenetiche della società in cui viene realizzata?

 

L.S.

Secondo me una buona architettura tende sempre al permanente. Cioè si tende sempre all’infinito. Sarà sempre finita, perché non c’è nessuna architettura che dura all’infinito; l’architettura nasce dalla natura, si estrapola dalla roccia, si fa dalla pietra, e poi lentamente ritorna roccia e pietra. Tuttavia ogni buona architettura tende a durare. Questo perché l’uomo ha bisogno di punti fissi, specialmente oggi in un mondo in cui tutto si muove, tutto è dinamico, in cui si grida, in cui si corre, velocità e non velocità, l’architettura è una di quelle poche discipline che mettono un freno a tutto questo. Essa stabilisce non solo un ordine ma definisce una costante. L’uomo vi si riconosce. Durante la seconda guerra mondiale furono distrutte intere città, interi centri storici, prendiamo ad esempio la Germania che fu distrutta in gran parte. La prima reazione della gente fu quella di ricostruire quello che era stato distrutto, che in un certo senso è una pazzia, perché è sbagliato. Però è comprensibile, cioè vuol dire che la gente ha bisogno di qualcosa in cui identificarsi. E affinché l’uomo possa identificare in qualcosa ci vuole tempo, perché se si cambia ogni giorno non ci sono più riferimenti. Quindi più l’architettura dura più il riferimento sarà costante. È per questo che la gente ricostruiva le vecchie costruzioni, perché ad esempio aveva un rapporto con il duomo, quel duomo per loro diceva tutto. Quindi dell’architettura oggi diventa sempre più importante questo aspetto, ovvero il bisogno di identità dell’uomo. In un mondo dove tutto si muove, l’architetto invece rallenta il passo dell’uomo.

 

M.P.

Secondo lei qual è l’uso che il progettista deve fare delle nuove tecnologie e i nuovi materiali?

 

L.S.

La tecnologia ha sempre avuto degli influssi sull’architettura. Prima del cemento armato ad esempio non esisteva l’estetica del cemento armato, ma altre estetiche. Quindi c’è sempre un influsso delle nuove tecnologie sulla.costruzione e sul suo linguaggio, ma non determinante. Oggi si può fare una costruzione modernissima anche senza vetro, senza metallo, senza cemento. La posso fare anche con la paglia e col fango o con la pietra come duemila anni fa e può essere modernissima. Ovvero, non è la scelta tecnologica che mi fa diventare attuale o meno l’architettura.

 

M.P.

Nel suo operare che ruolo hanno la luce e l’uso del colore?

 

L.S.

La luce rispetto al colore gioca il ruolo fondamentale.

 

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